Giuseppe  Verdi

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Giuseppe Verdi, compositore italiano (Roncole [Busseto], Parma, 1813 - Milano 1901). Figlio di modestissimi bottegai (i genitori gestivano uno spaccio di bevande con negozio di alimentari e generi vari), iniziò gli studi musicali con un vecchio organista di Roncole, Pietro Baistrocchi. A Busseto, dove frequentò il ginnasio, poté migliorare la sua istruzione musicale grazie all'aiuto di un agiato commerciante, Antonio Barezzi, appassionato dilettante di musica e mecenate della locale banda municipale; questi lo affidò a Ferdinando Provesi (Parma 1770 - Busseto 1833), che ne era direttore e svolgeva inoltre le mansioni di maestro di cappella e organista della collegiata di San Bartolomeo. Divenuto in breve tempo intimo di casa Barezzi, il giovane Verdi si fidanzò con la figlia del suo protettore, Margherita; poi, al fine di perfezionare ulteriormente la sua istruzione musicale, indirizzò su consiglio dello stesso Barezzi una domanda agli amministratori del monte di pietà per ottenere una delle borse di studio destinate ai giovani poveri. Al conservatorio di Milano, dove avrebbe dovuto proseguire gli studi grazie all'ottenuta sovvenzione, Verdi non fu tuttavia accettato. All'esame di ammissione il giovane, che già aveva superato i limiti di età, non diede prova di quei requisiti che il regolamento richiedeva. Deluso e amareggiato, Verdi rimase però a Milano: il Barezzi, che riponeva in lui grande fiducia, gli permise, col suo aiuto finanziario, il proseguimento degli studi, che poté compiere privatamente sotto la guida del compositore di scuola napoletana Vincenzo Lavigna, maestro al cembalo del teatro alla Scala e professore al conservatorio.
A Busseto, dove già Verdi aveva destato l'ammirazione dei concittadini con la composizione di molti pezzi per banda, erano frattanto rimasti liberi (essendo morto il Provesi) i posti di maestro di cappella e di organista della chiesa collegiata nonché quello di maestro della banda municipale. Non senza rammarico il giovane musicista dovette rientrare nell'ambiente provinciale dove il suo protettore ambiva sistemarlo e dove ottenne solo nel 1836, dopo accanite polemiche con il clero locale che sosteneva un altro candidato, il posto di maestro di cappella del comune di Busseto; allo stesso anno risale il suo matrimonio con Margherita Barezzi. Ma già nel 1838, ansioso di cimentarsi come compositore teatrale, secondo la voga di quei tempi, volle trasferirsi a Milano e riprendere contatto con l'ambiente aristocratico e intellettuale che lo aveva precedentemente conosciuto e apprezzato e che avrebbe potuto favorirne la carriera artistica. A Busseto aveva musicato la sua prima opera, Oberto conte di San Bonifacio, su libretto di Temistocle Solera, che, offerta al Teatro Ducale di Parma, non era stata accettata (1837); ora, attraverso il direttore della Società filarmonica di Milano, che aveva avuto modo in precedenza di apprezzare le doti del giovane maestro, fu accolta e rappresentata alla Scala (1839) per una serata di beneficenza. Caratterizzata da un ritmo e da un'essenzialità drammatica già personali, l'opera riscosse un buon successo. L'impresario Merelli strinse allora con Verdi un contratto per due opere buffe e un'opera seria. Ma i recenti lutti familiari che avevano colpito il musicista (fra il 1838 e il 1839 gli erano morti i due figlioletti, quindi, nel 1840, la moglie) e la sua naturale inclinazione per il genere tragico non favorirono la composizione della prima opera buffa, Un giorno di regno, che cadde clamorosamente alla Scala (1840), determinando in Verdi una grave crisi di scoraggiamento che minacciò di stroncarne la carriera. Solo l'insistenza del Merelli, che lo costrinse quasi alla lettura del libretto di Nabucco riuscì man mano a ridestare in Verdi l'iniziale fervore creativo. Nel 1842, alla Scala di Milano, il successo di Nabucco, già profilatosi durante le prove per l'entusiasmo dei cantanti e in particolare di Giuseppina Strepponi, si tramutò in vero e proprio trionfo e il coro degli Ebrei in esilio “Va' pensiero su l'ali dorate” accese negli animi da tempo anelanti alla libertà quello spirito patriottico e antiaustriaco caratteristico del periodo più drammatico ed eroico del Risorgimento italiano, del quale Verdi divenne il simbolo. Nabucco segna in effetti la prima importante tappa nell'evoluzione artistica di Verdi per la presenza, sia sul piano dei contenuti sia su quello della forma, degli elementi fondamentali della sua personalità e del suo stile, che si riassumono essenzialmente nell'incisività della melodia, nella rude violenza del ritmo, nella costruzione per rapidi scorci e improvvise illuminazioni, nell'intonazione corale della vicenda drammatica, che assorbe in un grandioso epos popolare i singoli caratteri e i singoli personaggi. Da quel momento l'attività creativa del musicista divenne incessante. Con I Lombardi alla prima crociata, rappresentata alla Scala (1843), nella quale traspare pure evidente il riferimento alla contemporanea situazione politica e che cominciò a procurare all'autore i primi fastidi con la censura, il nome di Verdi si impose nei maggiori teatri italiani. Seguirono, con disuguaglianza di valori ma quasi sempre accolte con successo, Ernani(Venezia, 1844), su libretto di F. M. Piave (che sarebbe diventato uno dei più devoti collaboratori di Verdi) da un dramma di V. Hugo, I due Foscari (Roma, 1844), Giovanna d'Arco (Milano, 1845) [che, allestita con scarsa cura, determinò un contrasto tra Verdi e il Merelli, causa forse principale nella decisione del musicista di abbandonare la Scala], Alzira(Napoli, 1845), Attila (Venezia, 1846). Con Macbeth(Firenze, 1847), primo felice incontro di Verdi col teatro shakespeariano e momento fondamentale della sua arte, la ricerca di una caratterizzazione psicologica dei personaggi, che escono dallo sfondo per campeggiare in tutta la loro complessa e dolorosa umanità, divenne la base della concezione drammatica di Verdi. Il musicista aveva ormai acquisito una profonda conoscenza dei gusti del pubblico, e anche se di alcune sue opere era stato sopravvalutato il significato politico, la sua esperienza artistica, al di là di disuguaglianze o cadute di tono dovute in parte anche all'affannoso ritmo di lavoro cui egli si sottopose in quegli anni, costituiva innegabilmente, per l'aderenza ai problemi sociali del momento, un fondamentale rinnovamento del teatro lirico, quale mai si era fino allora verificato. Ai Masnadieri (Londra, 1847), prima opera scritta da Verdi per un teatro straniero, fecero seguito uno sfortunato Corsaro (Trieste, 1848) e una Battaglia di Legnano (Roma, 1849) vibrante di spirito patriottico, mentre a Macbeth si ricollega, per l'introspezione psicologica e l'intimismo espressivo, Luisa Miller (Napoli, 1849). Stiffelio (Trieste, 1850) fu invece il preludio ai tre capolavori della maturità: Rigoletto(Venezia, 1851), Il trovatore (Roma, 1853), La traviata (Venezia, 1853), che, per il sempre più sottile affinamento del linguaggio, della strumentazione e della costruzione drammatica, trattata non più esclusivamente attraverso la successione di singoli pezzi chiusi, ma sull'articolato contrasto di grandi e complessi blocchi di scene, testimoniano una nuova fase, culturalmente più matura e meditata, dell'esperienza creativa di Verdi.
Nel 1842, finalmente libero da preoccupazioni finanziarie, il compositore si era ritirato a Busseto (nella villa di Sant'Agata furono scritte le più splendide partiture, fino a Falstaff); nel 1859 sposò in Francia, dopo anni di convivenza, Giuseppina Strepponi, che, dopo essere stata valente interprete di alcune sue opere, fu moglie devota ed esemplare, a dispetto di maligne dicerie sul suo passato (in particolare su una sua presunta relazione col Merelli). Nel 1855 il musicista, invitato dal governo francese a scrivere un'opera per l'Esposizione Universale, compose I Vespri siciliani, rappresentati nello stesso anno all'Opéra di Parigi con enorme successo. Seguì Simon Boccanegra (Venezia, 1857, il cui rifacimento [1881] segnò poi l'incontro con Boito), Un ballo in maschera (Roma, 1859), dall'atmosfera, a tratti, inconsuetamente brillante, La forza del destino(1862), per Pietroburgo, che testimonia della sua fama ormai mondiale e dove comincia ad apparire una particolare inflessione comica per certi aspetti anticipatrice di Falstaff. La produzione di Verdi subì quindi un rallentamento. Solo nel 1867 si ebbe Don Carlos rappresentato all'Opéra di Parigi, caratterizzato da un'efficacia drammatica e da un linguaggio orchestrale ancor più denso e raffinato che nelle opere precedenti; e, a quattro anni di distanza, composta per un'occasione eccezionale, le celebrazioni nazionali egiziane per l'apertura del canale di Suez, Aida(rappresentata al teatro dell'Opera del Cairo, 1871), nella quale la ricchezza dell'ispirazione melodica è valorizzata da un sapiente padroneggiamento dei mezzi espressivi. Oltrepassata la soglia della settantina, dopo il lungo silenzio seguito ad Aida, e dopo la parentesi di una Messa da Requiem, composta nel 1874 e dedicata alla memoria di A. Manzoni (opera di profonda ispirazione e di possente linea architettonica), Verdi tornò ancora al teatro. Questo ritorno fu contrassegnato da due capolavori che, oltre a riassumere l'esperienza artistica del grande maestro, costituiscono un meditato rinnovamento della sua stessa concezione drammatica, ottenuto attraverso una consapevole assimilazione e una personale interpretazione delle conquiste della drammaturgia wagneriana e del teatro musicale francese: Otello(teatro alla Scala, 1887) e Falstaff(teatro alla Scala, 1893), sua unica commedia musicale. Queste due ultime partiture, per la perfetta fusione degli elementi musicali, scenici e interpretativi, per l'equilibrio tra la componente vocale e quella strumentale, per un più malleabile plasmarsi del canto alle esigenze drammatiche della vicenda, nonché per una cura ancor più accentuata della collocazione e dell'ambientazione storica ed espressiva della stessa, crearono le premesse di un nuovo linguaggio operistico cui si riferiranno alcune delle più vitali correnti musicali del Novecento. A questi risultati Verdi giunse anche grazie a un librettista d'eccezione, Arrigo Boito, col quale vi erano stati in passato gravi malintesi, originati anche dall'appoggio che Boito aveva dato alle teorie drammatiche di Wagner. Con i Quattro pezzi sacri del 1898 si concluse l'attività creativa del grande maestro, che, universalmente ammirato nella maturità, al di là di contingenti polemiche, venerato nella vecchiaia come una delle massime glorie nazionali, informò e diresse in Italia il gusto di un'intera epoca, facendo del melodramma la più importante e quasi esclusiva manifestazione di arte musicale.
Tempra morale fortissima, egli trascorse in solitudine gli ultimi anni della sua vita, nella villa di Sant'Agata, dopo la perdita della moglie e degli amici più cari. Ultimo segno della sua nobiltà d'animo prima della morte, avvenuta all'hotel Milano, dove alloggiava abitualmente durante i suoi soggiorni milanesi, fu la donazione di gran parte della sua proprietà a una “Casa di riposo” destinata ai vecchi musicisti poveri, da lui fondata a Milano e nella cui cappella fu sepolto accanto alla seconda moglie Giuseppina Strepponi. Spirito acuto, capace di un'inflessibile autocritica, carattere rude e schivo, Verdi amò la semplicità e operò sempre secondo una chiara e ferma coscienza morale, alieno da interessi e ambizioni personali, da orientamenti che non fossero esclusivamente artistici. Fervente patriota, egli trasfuse nella sua musica, oltre ai motivi romantici che gli erano congeniali, i motivi umani nati da un'immediata esperienza di vita, da un sicuro e generoso impulso interiore, sollecitato, più che da un esplicito impegno intellettuale, da un istintivo, eccezionale intuito critico. Alla voce, che considerava il più efficace mezzo di espressione, affidò la rivelazione di un ricchissimo mondo fantastico, di una complessa vicenda spirituale, saldamente legata alla realtà storica e alla sensibilità morale del suo tempo. Questo spiega come la musica di Verdi abbia conosciuto, da un secolo a questa parte, un incontrastato successo mondiale che nemmeno le più accese polemiche antimelodrammatiche e antiromantiche dei primi decenni del Novecento valsero ad attenuare.

 

   

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